Pizzone II, il dovere di rispettare l’orso marsicano e una preziosa biodiversità.
di Giancarlo Pozzo (da Primo Piano Molise, 19 ottobre 2023)
Giovedì 31 agosto scorso, nel territorio di San Benedetto dei Marsi, alcune fucilate misero fine all’esistenza dell’orsa Amarena.
Si è trattato di un fatto che ha suscitato grande scalpore e, ad ottobre inoltrato, aprendo i giornali – anche nazionali – o andando su internet, è ancor oggi molto facile imbattersi in articoli che riguardano l’indignazione per l’insensato gesto che ha tratto a morte l’orsa più prolifica del Parco e l’intenzione di diversi soggetti di proporsi quale “parte civile”.
Il clamore che non tende a spegnersi è, ovviamente, giustificato: si è trattato di un fatto gravissimo, ma ancor più grave se si tiene conto del concreto “pericolo di estinzione” in cui versa l’orso bruno marsicano: sottospecie dell’ursus arctos, classificata tale con la denominazione di ursus arctos marsicanus dal medico naturalista campobassano Giuseppe Altobello (1869-1931) e, anche per questo, particolarmente cara ai molisani.


Stante la sensibilità mostrata dall’opinione pubblica per l’orsa Amarena (e perché no, per l’orso “pasticcere” Juan Carrito e per ognuno dei numerosi altri plantigradi vittima di incidenti stradali o di bracconieri – come verosimilmente accaduto all’orso Stefano di qualche anno fa) […] parrebbe il caso di chiedersi cosa succederebbe agli orsi del gruppo montuoso Meta-Mainarde, nella malaugurata ipotesi che la stessa opinione pubblica – ed i relativi amministratori – non riuscissero ad evitare l’attuazione del progetto Enel-Pizzone II (che, come noto, riguarda la realizzazione della ormai famigerata mega-centrale idroelettrica, che trasformerebbe i laghi di Castel San Vincenzo e di Alfedena in esanimi “bacini di pompaggio”).
Occorre da subito escludere – per pura logica – che i previsti otto cantieri necessari per la realizzazione di chilometri e chilometri di gallerie, di centinaia di metri di pozzi piezometrici, di impressionanti cubature di caverne, di ettari di disboscamento e cementificazione, di chilometri e chilometri di elettrodotti e di viabilità asservita ai lavori ecc. non attireranno, a cavallo tra le alte valli del Volturno e del Sangro, un corrispettivo, adeguato numero di “umarell” (dizionario Zanichelli: «Dal bolognese omarello, ometto… pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro alla schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono»). Né è ipotizzabile che frotte di orsi bruni marsicani si sentano incentivati a convergere, prodighi di consigli, su quegli stessi cantieri onde supplire, a tutto vantaggio delle maestranze, all’assenza di “umarell”. Parrebbe infatti che gli orsi prediligano i silenzi delle molisane valli di Mezzo, Ura, Pagana o delle abruzzesi valli Lunga e Cupella rispetto agli assordanti fracassi dei martelli pneumatici, degli escavatori, dei bulldozer, degli esplosivi e delle frese, di migliaia di viaggi di autocarri carichi di pietrame ed al conseguente polverone che – in una ottimistica previsione – andrebbe a durare per un intero quinquennio. Sicuramente non interessati ai lavori, cosa farebbero gli orsi? Si può giurare che, terrorizzati dai persistenti, invasivi frastuoni e dal relativo movimento di mezzi e persone, si allontanerebbero per sempre dal territorio della Meta-Mainarde ed andrebbero alla ricerca di cibo in nuovi spazi: sia nell’areale residuo del Parco, con i conseguenti problemi di sovrapposizione, sia erratici, alla scoperta di ulteriori areali fuori dai perimetri protetti; ciò, con tutti i rischi connessi agli attraversamenti stradali ed ai contatti con popolazioni verosimilmente reattive, in quanto non avvezze alla presenza dei plantigradi. In questo quadro, il pericolo di nuove, plurime perdite, aumenterebbe in modo esponenziale ed il “rischio” di estinzione si avvicinerebbe sempre più alla condizione di “certezza”.

Solo 150 anni orsono, l’estinzione dell’orso bruno marsicano sembrava cosa impensabile. La “Gazzetta della Provincia di Molise” del 15 marzo 1874, occupandosi della corografia dell’Alto Volturno, così riferiva: «…Oltre alla caccia ordinaria… nel bosco si fa la caccia dell’orso, che è molto pericolosa, specialmente quando, ferita, la belva non resta sul colpo, o pure l’orsa è seguita dagli orsetti. Sel sanno D. Carlo di Jorio, sacerdote e Leopoldo Virgilio i quali, per poco, non ne rimasero vittime infelici. La sugna dell’orso è usata nei dolori reumatici…».
Oggi, sul punto non si può certo scherzare e i conti sono presto fatti. Gli orsi che popolano il Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise sono stimati in una sessantina di esemplari e si può presumere che il verosimile numero delle femmine sia della metà. Di queste 30 unità, è plausibile dedurre che 10 non siano ancora in età fertile ed altre 10 non lo siano più. È pertanto molto vicino alla realtà asserire che in tutto il Parco vivano solamente 10 femmine in età fertile. Si deve poi tenere conto che ognuna di esse non partorisce ogni anno bensì ogni 3/5 anni e che le cucciolate vanno da 1 a 3 piccoli. Da ciò discende che ogni anno non ci si possa aspettare più di 4/6 nuovi cuccioli dei quali, di conseguenza, solo 2/3 femmine; quest’ultime, poi, partoriranno, per la prima volta, dopo ben 4/8 anni.
Oltre a quanto esposto, andrebbero considerati gli ulteriori problemi derivanti dalla difficilmente evitabile consanguineità e che, senz’altro, concorrono ad aggravare il già del tutto incerto scenario. Vi è anche da osservare che non più felici della trasformazione in cantiere del loro areale sarebbero i meno precari camosci, cervi, lupi, caprioli, gatti selvatici, i grifoni, le coppie di aquila reale e di corvo imperiale. E via dicendo o, a maggior ragione, le ultime elusivissime linci e le poco meno elusive lontre.
Abbiamo quindi tutti – Enel compreso – il dovere di rispettare queste preziosissime biodiversità (tra le quali l’orso bruno marsicano: unica al mondo e localizzata nel solo Appennino Centrale, la quale, al di là della denominazione, è simbolo del Molise per via del già ricordato naturalista Altobello).
Triste destino quello del Molise se, dopo essersi “giocato” il Matese con una infruttuosa stazione sciistica (ed oggi pressoché privo di fauna), si “giocasse”, con “Pizzone II”, anche le Mainarde: la sola, residua montagna “intonsa” sopra i 2.000 metri di altitudine ed unica rientrante nel centenario Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise!

Nel confronto in atto con l’Enel, una voce senza dubbio autorevole si è levata – tra le altre – dall’Ente Parco a difesa del suo territorio. Le relative osservazioni al progetto hanno riguardato, essenzialmente, l’irricevibilità di “Pizzone II” sotto il pregiudiziale aspetto del diritto positivo e giurisprudenziale. Non potranno mancare, tuttavia, ulteriori circostanze acché la Direzione dell’Ente possa tornare sull’argomento affrontando, sotto l’aspetto per il quale è istituzionalmente competente, la questione relativa al pregio ed alla irrinunciabile tutela delle numerose biodiversità specificamente presenti nell’area della Meta-Mainarde: argomento che non può essere lasciato alle sole riflessioni di un pur appassionato ma certamente dilettante naturalista. Parrebbe comunque del tutto auspicabile, in definitiva, che l’Enel, coerentemente con quanto dalla stessa riportato su una sua cabina a Civitella Alfedena: “LA NATURA È LA FORMA D’ARTE PIÙ’ BELLA CHE ABBIAMO… DIFENDILA!” e resasi conto della funesta portata del suo progetto “Pizzone II”, voglia alla fine desistere dall’innescare una letale… marmellata di Amarene!

Fonte Immagini: PNALM, Giancarlo Pozzo, Corradino Guacci, ENEL
